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Il pane

by fuocolento
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Il pane, alimento per la vita.

Resti archeologici e scritti antichi attestano che il pane era già in uso presso gli Egizi e divenne il comune alimento dei Greci. L’arte della panificazione iniziò a Roma nel II secolo A.C., dopo la conquista della Macedonia, probabilmente imparata dagli schiavi macedoni. In breve tempo divenne anche per i Romani un alimento base, tanto che nella fine del II secolo esistevano già una corporazione di fornai e i legislatori dell’epoca definirono un insieme di regole tali da assicurare alla città un numero sempre sufficiente di questi artigiani: i fornai non potevano cambiare mestiere, il loro primo figlio maschio doveva diventare fornaio e chi sposava la figlia di un fornaio doveva anch’egli «convertirsi» a questo mestiere.
Di fatto tutto ciò che c’era da scoprire sul pane era già stato scoperto. Negli anni a venire ci furono soprattutto cambiamenti nell’agricoltura e soprattutto nei mezzi tecnici con cui si coltivavano i cereali e si produceva il pane.

Il pane fatto in casa

La pratica della fermentazione degli alimenti ha accompagnato tutta la storia dell’umanità sia perché agevola la conservazione dei cibi sia perché attua un miglioramento nutrizionale che ha ricevuto nel tempo numerose conferme a livello scientifico: gli alimenti fermentati sono generalmente più nutrienti e assimilabili delle materie prime dalle quali provengono. Gli effetti dei fenomeni fermentativi sono molteplici: alcune sostanze che rendono difficoltosa la digestione vengono distrutte, altre vengono rese più digeribili, inoltre aumenta il tenore vitaminico ecc. Riguardo ai cereali, in particolare, va citata la capacità di limitazione dell’attività dell’acido fitico da parte di fermentazioni lente e, almeno parzialmente, lattiche. L’acido fitico, notevolmente presente nel rivestimento dei cereali (crusca), una volta nell’organismo si combina con calcio, ferro, magnesio, zinco e forma composti insolubili che l’organismo
non riesce ad assimilare. In pratica, se l’impasto non
è fatto fermentare correttamente, chi mangia molto
pane integrale non solo non riesce ad assimilare
tutti gli oligoelementi presenti nella crusca, ma rischia di subire un processo di demineralizzazione.
La fermentazione con lievito di birra, infatti, rapida
e a predominanza alcolica, decompone l’acido fitico
solo in parte perché il processo completo necessita
di pH ridotti e tempi lunghi, caratteristici della fermentazione lattica. 

Quanto costa?

Nelle precedenti versioni di questo libro questo paragrafo era dedicato a descrivere nel dettaglio perché farsi il pane in casa fosse conveniente anche dal punto di vista economico. In questi tempi di incertezza (pandemia, gelate primaverili, guerra, siccità, impennate dei costi dei carburanti/dell’energia) ancora maggiore di quanto già ci sembrassero i precedenti, tempi in cui il presidente del consiglio annuncia possibili razionamenti e in cui sembra che ci manchi solo un attacco di locuste per superare in bellezza le sette piaghe d’Egitto, per immaginare quali potrebbero essere in futuro le condizioni di acquisto della farina e dell’energia necessaria per cuocere il pane ci vorrebbe la sfera magica (e forse preferisco non averla). Sicuramente uno degli insegnamenti essenziali della pandemia, almeno per me, è che un elemento essenziale non solo o non tanto di sopravvivenza fisica ma soprattutto psichica in tempi difficili sono le capacità di autoproduzione. Chi non ricorda, nel marzo 2020, la letterale sparizione di ogni tipo di farina dagli scaffali dei supermercati, il lievito di birra che diventa un bene di prima necessità, senza peraltro che ci fosse mai stata penuria di pane già pronto da acquistare. Ricordo, in particolare, un commesso che di fronte alle richieste dei clienti disperati commentava con un collega: “Fino a ieri tutti celiaci…”

Gli ingredienti
Gli ingredienti per fare il pane sono pochi e molto semplici: farina, lievito, acqua e sale. In realtà, come per tutte le cose, per avere un buon prodotto ci vogliono ingredienti di qualità e ha la sua importanza anche l’ambiente in cui si lavora.

Lievito di birra
E’ un tipo di lievito conosciutissimo e molto usato in tutte le case dove si preparano focacce, pizze,
o altre pietanze del genere. Solitamente viene venduto al pubblico in cubetti refrigerati dal peso di 15-30 g che hanno l’aspetto
di una pasta compatta, di un uniforme color grigio-crema. I cubetti di lievito di birra sono in pratica degli ammassi di un particolare microrganismo: il
Saccaromices cerevisiae; si tratta perciò di cellule vive, che entrano in attività (respirazione,
riproduzione, ecc.) quando sono portate a una temperatura intorno ai 25°. È questo il motivo per cui il lievito di birra va conservato al freddo, ed è anche per questo motivo
che il lievito di birra deperisce abbastanza in fretta: una settimana se è tenuto a una
temperatura di pochi gradi sopra lo zero, uno o al massimo due mesi se è tenuto a temperature inferiori allo zero.Questo lievito permette una lievitazione in tempi brevi, soprattutto se alla farina si aggiunge un pizzico di saccarosio, cioè il normale zucchero da cucina, che è un alimento fondamentale per queste cellule.
Lievito secco
II lievito secco ha come unico vantaggio quello di essere più stabile di quello di birra. Si presenta sotto forma di granuli minuti e si riattiva quando viene sciolto in acqua con una temperatura attorno ai 40°, cioè un poco più alta di quella richiesta dal lievito di birra. Sul mercato ci sono tipi diversi di lievito secco, perciò le dosi di questo ingrediente che vengono date nelle ricette sono indicative ed è necessario attenersi a quanto indicato sulla confezione.

 

Il lievito madre o pasta madre

II lievito naturale viene chiamato anche lievito di pasta acida, o panetto o pasta madre, e non è altro che un impasto di farina e acqua lasciato all’aria per un periodo più o meno lungo. Questo lievito infatti si forma spontaneamente grazie alle spore di microrganismi (fermenti lattici e acetici) che sono sempre presenti nell’aria degli ambienti e che, depositandosi sull’impasto di farina e acqua, trovano nutrimento e cominciano a fermentare (che è in un certo qual modo il loro modo di nutrirsi) e a riprodursi. Il risultato di questa microscopica attività è la trasformazione dell’impasto in una vera e propria coltura di lieviti. Se questo impasto fermentato viene mescolato a un nuovo impasto di farina e acqua, esso agisce proprio come un qualsiasi lievito, anche se più lentamente, perché meno concentrato e puro.
La preparazione del pane col lievito naturale è un processo più complesso e più lungo rispetto alla panificazione col lievito di birra o con quello secco, ma il pane che si ottiene ha una porosità più regolare, una maggiore conservabilità, un maggior contenuto in vitamine del gruppo B e anche una maggiore digeribilità, perché in un certo senso è già stato parzialmente “predigerito” dai microrganismi.
In commercio esistono dei prodotti che servono a facilitare la formazione del lievito naturale. Si tratta in pratica di miscele di frumento e miele o simili, che permettono di innestare il processo fermentativo nell’impasto di farina e di acqua e di controllarlo, rendendo meno problematica e più sicura la panificazione con questo metodo.
Il primo sistema semplice e naturale per fare la pasta madre consiste nell’impastare 100 g di farina di frumento integrale, possibilmente macinata di recente e in ogni caso non più vecchia di 3-4 mesi, con un po’ di acqua fresca e aggiungendo, secondo i gusti, 1 cucchiaino scarso di olio extravergine d’oliva e 1 di miele. Manipolate l’impasto fintantoché raggiunga una consistenza tale da non risultare appiccicoso. Date al composto la forma di una palla, riponetelo in una ciotola e copritelo con un panno umido e costantemente inumidito, lasciandolo a riposo per 48 ore: l’inumidimento del panno permetterà di evitare la formazione di una crosta.
Trascorso il tempo previsto, aggiungete un paio di cucchiai di acqua tiepida, preventivamente bollita, e tanta farina quanta ne sarà necessaria per ottenere una nuova pagnotta che abbia la stessa consistenza di quella preparata prima. Ripetete il procedimento precedente, ossia riponetela in una ciotola, eventualmente più grande in quanto il volume del secondo impasto sarà maggiore, e tenetela coperta per altre 48 ore con un canovaccio costantemente inumidito, scegliendo un angolo di casa tiepido e al riparo da correnti d’aria. La temperatura stabile (attorno ai 18-20 gradi) è una delle condizioni alle quali prestare maggiori attenzioni, in quanto sbalzi anche minimi potrebbero compromettere il buon esito dell’operazione.

Il secondo metodo simile al primo oltre alla farina e all’acqua, useremo del succo di frutta zuccherina, per esempio quello dell’uva, ideale sarebbe anche la buccia della banana lasciata macerare e inacidire in una ciotola di acqua, quesi filtrati attraverso un canovaccio. In alternativa, si adopera quello di mele o di albicocche. Impastare circa 50 g di succo con 150 g di farina 00 di buona qualità e 50 g di acqua a 24°C; lavorare bene il tutto. Raccogliere l’impasto in una ciotola, coprirlo con pellicola trasparente e lasciarlo riposare a 28°C per 48 ore, finchè sarà raddoppiato di volume. Il lie­vito così ottenuto, però, non è ancora maturo e deve essere sottoposto a una serie di operazioni dette di rin­fresco. Va cioè reimpastato con un uguale peso di fari­na e metà di acqua e rimesso a lievitare, coperto, per circa 12 ore. L’operazione si ripete allo stesso modo (con farina pari al 10 per cento del suo peso) finchè il volume dell’impasto triplica in sole 4-5 ore, diventan­do bianco e acquistando il tipico sapore acido-dolcia­stro. Per purificarne il gusto, la pasta madre va taglia­ta a fette e messa a bagno per 15’ in un litro d’acqua a 20°C con poco zucchero, quindi spremuta. La pasta di lievito naturale (o pasta madre) purificata in acqua, da conservare per usi futuri, va rilavorata unendovi della farina bianca e acqua. Si conserva dai 4 ai 6 giorni , al fresco, legata, ma non stretta, in un telo pulito; il ciclo dei rinfreschi va ripetuto regolarmente.

 

La ricetta

Si può usare il lievito di birra secco o fresco: 1 bustina (15-20 g) per 500-1000 g di farina (tenendo presente che usando farina integrale bisogna aumentare la quantità di lievito). Al lievito si aggiunge mezzo cucchiaino di zucchero di canna oppure un cucchiaino di miele o di malto (per favorire la lievitazione), mettendo il tutto in tre quarti di bicchiere di acqua tiepida. Si lascia poi riposare finché produce una bella “schiumetta”.
E’ preferibile dotarsi di una farina fresca , perché mantiene tutte le proprietà (infatti impoverisce già dopo qualche settimana), aggiungendo comunque un po’ di farina bianca (farina 0 biologica, nel bio non esiste il doppio zero).
Si mescolano dunque mezzo kg di farina integrale macinata al momento, il bicchiere con il lievito e altri 3-4 bicchieri di acqua tiepida (non calda, perché “uccide” la lievitazione).
Si ottiene un impasto molto morbido (da impastare solo col cucchiaio), a cui si aggiunge il sale.
Si lascia riposare, coperto con uno strofinaccio, per almeno un’ora.
All’impasto morbido si aggiunge farina bianca 0 finché esso risulta abbastanza consistente. Con questa procedura l’impasto viene lavorato pochissimo (uno due minuti).
Si versa poi l’impasto in uno stampo infarinato (o antiaderente) e lo si lascia riposare ancora un’oretta, coperto da un panno.
Infine si mette in forno caldo (possibilmente a legna) per 45-50 minuti. Se il pane viene troppo asciutto, durante la cottura si può mettere un pentolino d’acqua nel forno.

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