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by fuocolento
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Pasta alla carbonara

La regina delle tavole Italiane

È il risultato dell’unione di pasta (spaghettirigatonimezze maniche), tuorli, pecorino, guanciale e pepe. Detta così sembra facile ma è veramente così? Ti voglio portare con me alla scoperta di questa meravigliosa ricetta, preparandola assieme e gioire del piacere gustativo di questo piatto.
“C’è chi sostiene che forse questo piatto deve il suo nome a dei boscaioli che andavano sull’Appennino a far carbone di legna e che portavano con sé pancetta, uova e pecorino, con cui condire la pasta…
Altra ipotesi: “quando Roma venne liberata, la penuria alimentare era estrema, e una delle poche risorse erano le razioni militari, distribuire dalle truppe alleate; di queste facevano parte uova (in polvere) e bacon (pancetta affumicata), che qualche genio ignoto avrebbe avuto l’idea di mescolare condendo la pasta.” 

“C’è chi sostiene che forse questo piatto deve il suo nome a dei boscaioli che andavano sull’Appennino a far carbone di legna e che portavano con sé pancetta, uova e pecorino, con cui condire la pasta… Un’altra teoria fa risalire la carbonara ad un nobile napoletano, Ippolito Cavalcanti nel suo libro “La cucina teorico pratica”. Ma a quanto pare nel libro la ricetta più simile non ha né guanciale né pancetta, e le uova sono stracotte. La teoria più affascinante, che spiegherebbe l’assenza di tracce nella tradizione popolare, fa risalire la carbonara alla liberazione da parte degli alleati. Così descrive questa ipotesi l’enciclopedia della gastronomia di Marco Guarnaschelli Gotti2: “quando Roma venne liberata, la penuria alimentare era estrema, e una delle poche risorse erano le razioni militari, distribuire dalle truppe alleate; di queste facevano parte uova (in polvere) e bacon (pancetta affumicata), che qualche genio ignoto avrebbe avuto l’idea di mescolare condendo la pasta.”

Il mistero della carbonara

“C’è chi sostiene che forse questo piatto deve il suo nome a dei boscaioli che andavano sull’Appennino a far carbone di legna e che portavano con sé pancetta, uova e pecorino, con cui condire la pasta… Un’altra teoria fa risalire la carbonara ad un nobile napoletano, Ippolito Cavalcanti nel suo libro “La cucina teorico pratica”. Ma a quanto pare nel libro la ricetta più simile non ha né guanciale né pancetta, e le uova sono stracotte. La teoria più affascinante, che spiegherebbe l’assenza di tracce nella tradizione popolare, fa risalire la carbonara alla liberazione da parte degli alleati. Così descrive questa ipotesi l’enciclopedia della gastronomia di Marco Guarnaschelli Gotti2: “quando Roma venne liberata, la penuria alimentare era estrema, e una delle poche risorse erano le razioni militari, distribuire dalle truppe alleate; di queste facevano parte uova (in polvere) e bacon (pancetta affumicata), che qualche genio ignoto avrebbe avuto l’idea di mescolare condendo la pasta.”

L’ALIMENTAZIONE MONTANA

Il vitto dell’agricoltore dei monti risultava in genere: “scarso e poco nutritivo; rara è per loro la varietà del cibo, e si riscontra soltanto in qualche famiglia alquanto più agiata (…) Il vitto ordinario è quasi unicamente basato sul granturco. Questo cereale,ridotto in farina, viene impastato con acqua e sotto forma di schiacciata, detta pizza, è cotto nel forno per fare il pane e servito in tutti ì pasti quotidiani. Altra farina di granturco è cotta nell’acqua, rare volte condita con sale ed olio, lardo, ricotta o verdura, e forma la polenta, la quale rappresenta la minestra giornaliera del coltivatore.” Evidente la frugalità dei pasti degli agricoltori di montagna. Scarso era l’uso di salumi e del pesce. Pressoché sconosciuta la carne come pure era assente l’uso del vino. Questo il risultato di due diverse analisi sull’alimentazione contadina dell’Appennino centrale, ma le stesse osservazioni valgono anche per le altre popolazioni di quelle zone: “l’alimentazione è sempre incompleta, sovente costituita da cibi malsani. Il grano e il granturco sono ordinariamente avariati, i legumi cattivi, il formaggio magro; e così via discorrendo. I coltivatori poveri, generalmente, dei pochi cereali e cibarie che producono, vendono i migliori per raggruzzolare poche lire, e ritengono e spesso comprano per l’alimentazione loro e delle loro famiglie tutto quel che v’ha di peggio. Questo è il regime generale delle famiglie; anche più triste è quello dei braccianti.”

I CARBONAI DELL’APPENNINO.

La conformazione orografica della penisola è caratterizzata dalla presenza di una lunga dorsale appenninica con un clima per lo più temperato. La presenza di cime non troppo elevate ed un clima relativamente favorevole (precipitazioni e sole), hanno di fatto favorito lo sviluppo di un ampio manto boschivo.
La presenza di questa folta vegetazione arborea ha rappresentato una delle principali fonti di sostentamento per le popolazioni appenniniche. Infatti tra le attività legate allo sfruttamento di questa risorsa spicca, per il suo carattere di tipicità l’opera dei carbonari.
Nell’alimentazione di queste persone alcuni hanno ritenuto di individuare l’origine della ricetta: e nella loro professione quella del nome.

La vita dei carbonai

Ricavare carbone dalla legna è stata per secoli una delle principali attività di sussistenza delle comunità montane appenniniche. Nei mesi che andavano dall’inizio della primavera ad autunno inoltrato, gran parte della popolazione maschile si spostava nella boscaglia per raccogliere legna da trasformare in carbone.
Una baracca riadattata anno per anno, un pagliericcio ed un’alimentazione frugale, caratterizzava la vita di questi uomini per interi mesi dell’anno. L’alimentazione già di per sé povera era ottenuta dal sottobosco o dal saltuario approvvigionamento presso agricoltori locali.

Il pepe ad esempio, non viene quasi mai citato nelle prime fonti della pietanza. Trattandosi di una spezia in quegli anni piuttosto cara, il suo utilizzo era appannaggio di poche famiglie, che tendevano ad usarlo con una certa parsimonia, fatto che difficilmente ne avrebbe alterato la colorazione.
La professione del carbonaro, inteso come colui che porta il carbone per il consumo domestico, è diffusa in tutte le aree urbane del paese, questo almeno fino agli anni Settanta del secolo appena trascorso

Per come la conosciamo oggi la carbonara è indubbiamente una specialità della tradizione romana.

Quali vini abbinare a questo strepitoso primo piatto

Per sostenere il gusto intenso dei singoli ingredienti di questo piatto, occorre un vino ben strutturato e con una buona acidità, in grado di bilanciare la parte grassa data dal guanciale.

Perfetto, in tal senso, un Vermentino di Gallura DOC, sebbene anche la freschezza dello Chardonnay si sposa molto bene con questa pasta.

In alternativa, ottima la mineralità di un Greco di Tufo campano o, volendo andare di bollicine, via libera a un Metodo Classico come un Franciacorta DOCG, in grado di pulire il palato dall’untuosità del maiale.

Il vino rosso e la pasta alla carbonara

L’abbinamento per chi ama fare scelte azzardate è il vino rosso. Azzardato perché il rosso rischia di far perdere alle nostre papille gustative la caratteristica cremosità del tuorlo.

L’importante è orientarsi su vini strutturati ma con tannini non troppo eccessivi che andrebbero a contrastare la delicatezza dell’uovo.

Scegli un vino speziato e maturo, come un Syrah DOC laziale o uno Schioppettino DOC, un vino friulano di colore rosso rubino intenso, che al naso richiama note di frutti di bosco e marasca: perfetto!

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